Custodire la dignità per fermare la violenza

Andare oltre l’emergenza, oltre la cronaca nera e oltre le letture semplificate. È da questa esigenza profonda che ha preso forma il convegno promosso dall’Unione Giuristi Cattolici Italiani sul tema del femminicidio, ospitato a Catanzaro, che ha messo in dialogo il pensiero ecclesiale e quello giuridico, la riflessione teologica e la responsabilità civile.

Un confronto intenso, nato non per commentare l’ennesimo fatto di sangue, ma per interrogare le radici culturali e antropologiche della violenza di genere, chiamando in causa la coscienza collettiva prima ancora delle norme.

Ad aprire i lavori è stato l’Arcivescovo Metropolita di Catanzaro-Squillace, S.E. Mons. Claudio Maniago, che ha subito indicato il rischio di un’attenzione discontinua su temi decisivi come questo. «C’è bisogno di una vera circolazione di idee – ha affermato – perché troppo spesso ci fermiamo all’emozione del momento, senza riuscire ad approfondire le motivazioni più profonde e a costruire una cultura diversa, capace di custodire davvero la dignità della persona».

Una riflessione che, per il Vescovo, non può limitarsi all’ambito giuridico o mediatico, ma deve diventare un percorso educativo e culturale stabile, condiviso da istituzioni, comunità e corpi sociali.

Inserendo il tema nel tempo dell’Avvento, Mons. Maniago ha offerto una prospettiva che ha dato spessore al confronto. La nascita di Gesù, ha ricordato, non è una scena rassicurante o sentimentale, ma un evento che interpella profondamente la responsabilità degli adulti. In quel bambino fragile e indifeso si manifesta una verità decisiva: la dignità umana è così grande che Dio stesso ha scelto di assumerla.

«Tutte le persone, senza eccezioni, hanno una dignità – ha sottolineato l’Arcivescovo – una dignità che non stabilisce gerarchie, ma riconosce nella diversità una ricchezza». È da questa visione che nasce ogni autentico impegno di prevenzione della violenza.

Su questa linea si è innestato l’intervento dell’avvocato Pallone, che ha portato il confronto sul terreno del diritto e della responsabilità civile. Il femminicidio, ha spiegato, non è un reato come gli altri, ma l’espressione estrema di un atto di potere e di supremazia, in cui il possesso prende il posto della relazione e la libertà viene annientata.

Uccidere una donna in quanto donna significa colpire non solo una persona, ma ferire l’intera comunità, minando i valori costituzionali e il principio stesso della dignità umana. Da qui l’importanza di una normativa che non si limiti a sanzionare, ma che sappia nominare con chiarezza la violenza, riconoscendone la matrice culturale oltre che penale.

Nel suo intervento, Pallone ha insistito sulla necessità di cogliere lo spirito della legge, prima ancora della sua applicazione tecnica. Il diritto, infatti, non è solo repressione, ma anche educazione: orienta le coscienze, definisce ciò che una società ritiene inaccettabile, contribuisce a costruire un linguaggio nuovo delle relazioni.

La prevenzione del femminicidio, in questa prospettiva, non può essere delegata esclusivamente ai tribunali. È una responsabilità condivisa che coinvolge famiglie, scuola, mondo dell’informazione, comunità ecclesiale e società civile, chiamate a spezzare il silenzio e l’indifferenza che spesso accompagnano la violenza.

Il convegno si è così configurato come un vero laboratorio di pensiero, capace di tenere insieme Vangelo e diritto, fede e cultura civile. Come ha ricordato Mons. Maniago nel saluto conclusivo, «questo incontro è anche un modo particolare per dirci buon Natale», perché affida alla comunità una riflessione che può incidere concretamente sul modo di vivere il tempo presente.

Un augurio che si traduce in impegno: custodire la dignità di ogni persona, educare a relazioni libere e rispettose, costruire una cultura capace di prevenire la violenza prima che esploda. È in questo dialogo tra coscienze, istituzioni e comunità che può maturare una società più giusta, nella quale il diritto e la fede concorrono, ciascuno con il proprio linguaggio, a difendere ciò che è più umano.