
La Basilica “Maria SS. Immacolata” di Catanzaro ha accolto domenica 7 dicembre una celebrazione che resterà nella memoria ecclesiale dell’Arcidiocesi Metropolitana di Catanzaro-Squillace: l’ordinazione diaconale di Pio Giuseppe Merante, conferita dall’Arcivescovo Metropolita S.E. Mons. Claudio Maniago nella vigilia della Solennità dell’Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria.
Un clima di gioia composta e di sincera partecipazione ha accompagnato la liturgia, vissuta come un momento di grazia non solo per il candidato ma per tutta la comunità cristiana che vede rafforzarsi il proprio cammino di fede e di servizio.
Nell’omelia, Mons. Maniago ha offerto una profonda meditazione sul significato della solennità e della vocazione che Pio Giuseppe è chiamato a incarnare.
Rileggendo il mistero dell’Immacolata, l’Arcivescovo ha ricordato che in Maria «Dio anticipa ciò che desidera compiere in ciascuno dei suoi figli: renderci santi e immacolati nella carità» .
Il “sì” dell’Annunciazione – ha sottolineato – non è un episodio isolato, ma «il culmine di una vita intesa come servizio, una dedizione incondizionata alla volontà di Dio» .
Questa disponibilità assoluta diventa la cifra della diaconia cristiana, di ogni discepolo e, in modo particolare, di chi riceve il ministero ordinato.
Rivolgendosi a Pio, l’Arcivescovo ha precisato che il diaconato «non è un passaggio funzionale verso il presbiterato, ma una dimensione costitutiva che resterà per sempre nella tua identità di credente e di futuro prete».
Il diacono, infatti, incarna sacramentalmente il Cristo Servo ed è chiamato a essere richiamo vivente al Vangelo nella comunità.
Uno dei momenti più intensi dell’omelia è stato il riferimento alla promessa del celibato, definita come scelta di amore libero, capace di donarsi «senza pretesa di possesso e senza relazione esclusiva» .
Un impegno, ha aggiunto Mons. Maniago, che non è rinuncia sterile ma apertura radicale al dono di Dio, per amare con un cuore indiviso.
La Chiesa affida al diacono due segni essenziali: la Liturgia delle Ore e il Libro dei Vangeli.
Il primo educa ad essere uomini «della lode, della gioia e della positività, capaci di vedere il bene che Dio suscita nel mondo».
Il secondo richiama la missione dell’annuncio: «dire a tutti che di Dio non si deve avere paura, aiutando chi è smarrito a ritrovare fiducia nella sua paternità».
Con queste parole, Mons. Maniago ha tratteggiato lo stile pastorale richiesto al nuovo diacono: presenza discreta, vicinanza alle fragilità, capacità di ascolto e di accompagnamento.
L’Arcivescovo ha insistito in modo particolare sulla dimensione della carità, ricordando che il diacono non è un volontario qualificato, ma «animatore della carità ecclesiale, chiamato a rendere riconoscibile che ogni opera buona ha la sua sorgente nell’amore di Cristo».
I poveri, nelle loro molteplici fragilità – materiali, psicologiche, morali, spirituali – occupano un posto privilegiato nel ministero diaconale.
Come Maria, che ha servito Elisabetta, protetto il Bambino, consolato il Figlio sulla Croce, il diacono è chiamato a custodire e a sostenere le vulnerabilità del popolo di Dio.
Mons. Maniago ha poi ricordato che la diaconia si vive «non solo nel perimetro della Chiesa, ma fuori dalle mura, nella quotidianità, nei luoghi ordinari della vita».
Il diacono, ha detto, è come “lievito nella pasta”, segno credibile di fraternità secondo lo spirito di “Fratelli tutti”.
Richiamando gli antichi testi della Chiesa, l’Arcivescovo ha sottolineato il legame particolare fra diacono e vescovo: «l’orecchio, la bocca, il cuore e l’anima del vescovo» – un’immagine che restituisce la profondità della missione e la responsabilità dell’obbedienza ecclesiale.
La conclusione dell’omelia è stata affidata a parole semplici e forti: la grazia dell’ordinazione non preserva dalle prove, ma sostiene nelle fragilità.
«Quando smarrirai la luce – ha detto l’Arcivescovo – lasciati trovare dal Signore che ti viene incontro e ti chiede: dove sei?».
In quella fedeltà tenera e instancabile di Cristo, ha aggiunto, troverai la forza di rimanere suo diacono per sempre, fino al giorno in cui Egli dirà: “Vieni, servo buono e fedele”.
L’ordinazione di Pio Giuseppe Merante non è soltanto un traguardo personale, ma un segno di speranza per la nostra Chiesa.
Essa ricorda che il Signore continua a chiamare, a consacrare, a inviare.
La comunità diocesana accompagna Pio nella gratitudine e nella preghiera, certa che il suo servizio saprà generare fraternità, ascolto, evangelizzazione e una presenza mite e luminosa nel cuore della vita ecclesiale e civile.

