
Il pellegrinaggio diocesano in Turchia continua a rivelarsi non solo un viaggio attraverso luoghi storici, ma un percorso interiore che restituisce freschezza e profondità allo sguardo di chi vi partecipa. Le meraviglie naturali e archeologiche che i pellegrini stanno incontrando non sono semplici scenari: diventano il linguaggio con cui il Signore parla alla sua Chiesa.
Mons. Claudio Maniago, nell’omelia pronunciata al termine della giornata, ha offerto una lettura luminosa di ciò che si sta vivendo: la bellezza non è un ornamento, ma una via. Una via attraverso cui Dio conduce alla lode, alla gratitudine, alla responsabilità.
Il Vescovo ha richiamato la “infinita fantasia del Signore”, visibile nella natura di queste terre tanto diverse dalla nostra. Non si tratta di un dettaglio estetico, ma di un’occasione spirituale: ciò che vediamo — ha ricordato — ci porta spontaneamente a lodare Dio.
In una giornata segnata dall’incontro con luoghi suggestivi e da scene di vita familiare cariche di gioia, Mons. Maniago ha sottolineato un punto decisivo: la creazione non è un semplice scenario, è un dono messo al servizio dell’uomo, capace di rallegrarne il cuore e alleggerirne le fatiche.
Solo un cuore aperto riconosce che tutto questo non accade per caso, ma porta una firma: quella del Signore.
La tappa nella grande città antica legata alla predicazione degli Apostoli – dove la tradizione colloca la testimonianza di San Filippo – ha suscitato una riflessione più profonda. Non si tratta soltanto di rovine, ma di frammenti che parlano.
Il Vescovo lo ha detto con chiarezza: ritrovare le tracce di un apostolo in una terra ormai cancellata dalla storia alimenta la consapevolezza e accresce la responsabilità della nostra fede.
Il contrasto è forte: luoghi un tempo vivissimi, oggi visitati da turisti che spesso ignorano il significato sacro di ciò che calpestano. Eppure, per chi crede, quelle pietre continuano a custodire una domanda: da dove nasce la nostra Chiesa? Quale fu la forza che la fece crescere in mezzo alle città del mondo antico?
Riprendendo l’immagine della grande città in cui Filippo annunciò il Vangelo, Mons. Maniago ha ricordato che ogni epoca conosce distrazioni, resistenze, superficialità. Non è una novità contemporanea.
“Il Vangelo – ha sottolineato – risponde ai desideri più profondi dell’uomo, ma non è di facile acquisizione”. Per questo chi lo annuncia deve portare in sé lo zelo degli apostoli, la capacità di gettare un seme anche quando il terreno sembra arido.
L’omelia si è trasformata così in un invito diretto ai sacerdoti e agli operatori pastorali presenti: non lasciarsi scoraggiare dal senso di saturazione che talvolta si avverte nelle nostre comunità.
Il martirio di Filippo ricorda che la testimonianza non si ferma davanti all’indifferenza, né misura il successo pastorale sulla risposta immediata delle persone.
Nel cuore della sua riflessione, il Vescovo ha riportato l’episodio evangelico che più caratterizza l’apostolo Filippo: l’incontro in cui egli dice a Natanaele “Vieni e vedi”. Una frase semplice, essenziale, che contiene tutto il dinamismo del cristianesimo.
Non strategie, non discorsi complessi, non tecniche persuasive: solo un invito sincero a fare esperienza del Signore.
Mons. Maniago lo ha indicato come il modello del nostro ministero e della vita cristiana: non un esercizio di sapienza, ma un gesto di testimonianza autentica. Una vita che, semplicemente, dice: “Ho trovato ciò che risponde al cuore. Vieni e vedi”.
La conclusione dell’omelia è stata un richiamo alla responsabilità. Tutto ciò che si è contemplato – la bellezza, la storia, la memoria apostolica – non è dato per generare emozioni momentanee, ma per rinnovare il coraggio dell’annuncio.
Il cammino compiuto insieme, la fraternità vissuta, la fatica stessa della giornata diventano parte di una grazia più ampia: che il Signore non lasci mai mancare in noi lo zelo apostolico.
Da queste terre, che hanno conosciuto la voce dei primi testimoni della fede, il pellegrinaggio riparte con un mandato: essere, oggi, ciò che Filippo fu per la sua città.
Non portatori di saggezza, ma testimoni di una scoperta che cambia la vita.
Non maestri, ma compagni di strada che sanno dire, con fiducia rinnovata: “Vieni e vedi”.

