
I – Dalla fondazione al 1943
La Cattedrale, chiesa principale della diocesi per la presenza della cattedra episcopale, o Duomo, cioè casa per eccellenza del Signore, fin dalle origini fu uno dei poli della vita cittadina e, soprattutto, dal Medioevo, uno dei simboli della città stessa, per la presenza dei Santi Patroni.
A Catanzaro la Cattedrale non fu costruita come manifestazione del prestigio e potere economico delle varie classi sociali che formavano la cittadinanza intera, fu eretta per volere del potere centrale e del feudatario locale.
Infatti come alle insistenze di Goffredo di Loritello, conte della città, si deve la crezione della diocesi così per suo volere e per interessamento dei dominatori normanni si deve la costruzione originaria della Cattedrale.
La pianta dell’edificio così come appare dalla documentazione cartografica sette-ottocentesca (posteriore ai terremoti che colpirono la città tra il ‘600 e la fine del ‘700) nonché la ripresa di essa nell’attuale ricostruzione dopo il bombardamento anglo-americano del 27 agosto 1943, permette di visualizzare lo schema tipico della basilica a sviluppo longitudinale, divisa in tre navate da robusti pilastri quadrangolari, con un vasto transetto non sporgente rispetto alle pareti esterne delle navate laterali, un coro triabsidato con abside centrale più grande, tre accessi sulla facciata principale ed uno su ciascuna facciata laterale, nonché una robusta torre campanaria quadrangolare addossata alla facciata.
L’adozione dei pilastri per le navate, mantenuti sempre ad ogni ricostruzione, nonché lo schema del transetto e del coro presentano analogie con le cattedrali di Umbriatico e di Otranto. Da una notizia riportata dal D’Amato (1670) si apprende che all’esterno della navata sinistra ( “al lato destro al di fuori della Chiesa dalla parte settentrionale”) fu costruito un ampio cimitero (camera sotterranea), cui il Papa Callisto II concesse particolari indulgenze per chi vi fosse seppellito.
Successivamente nel 1309, ai tempi del vescovo frà Venuto da Nicastro, il conte Pietro Ruffo fece edificare la cappella di San Vitaliano, probabilmente in stile gotico,addossata alla facciata laterale sinistra, vicino all’ingresso detto “porta dell’olmo” e,nel tempo (1588), di fronte ad essa, si edificò la cappella del SS.Sacramento, dando così all’edificio una sorta di schema planimetrico a croce latina. A queste due cappelle furono poi addossati due corpi di fabbrica, definiti entrambi “sacrestia” in un disegno anonimo successivo al terremoto del 1783.
Nell’altare della Cappella di San Vitaliano furono deposte in tre nicchie le reliquie di San Vitaliano, Patrono della città, di San Fortunato e di Sant’Ireneo, già patroni, tradizionalmente, della città bizantina.
II – Dal 1943 ad oggi
“Ampia, fredda, classicheggiante; molta chiarità dalle larghe finestre e dal tono pallido, uguale; continuità di arcate, rispondenza di proporzioni, concetto completo e razionale rispondente al fine, al simbolo, alle prescrizioni canoniche; grandiosità, dignità, serenità che convincono l’animo di chi vi accede”.
È questo l’aspetto della cattedrale catanzarese che si presentò agli occhi dell’architetto Nave, nel settembre del 1933, quando dovette stilare, alla vigilia del Congresso Eucaristico Calabrese dello stesso anno, una relazione in merito ad alcuni lavori di rifacimento del tempio.
E tutto questo scomparve all’indomani dei bombardamenti anglo-americani del 27 agosto 1943; un evento che, in pochi minuti e nei successivi dieci anni, cancellò dalla memoria dei catanzaresi secoli di storia che avevano visto il millenario edificio protagonista di eventi importanti. La cappella del Santo Patrono, San Vitaliano Vescovo di Capua, andò interamente distrutta e così la sagrestia con i suoi stipi e i suoi tesori. E di lì a poco i furti e le continue spoliazioni evidenziate in più relazioni, avvenute ai danni della cattedrale tra il 1943 e il 1956, fecero il resto.
Intorno al 1955 s’iniziò la completa ristrutturazione che portò all’inspiegabile distruzione di lapidi, altari, fastigi e quant’altro, dal 1122 a quella data, rese importante, sotto il profilo storico-artistico e architettonico, il sacro edificio.
Ristrutturata sull’antica costruzione su progetto dell’Arch. Vincenzo Fasolo, coadiuvato dall’arch. Franco Domestico, la chiesa attuale mantiene, dal punto di vista architettonico e urbanistico, l’imponenza della precedente costruzione; ancora oggi le antiche absidi, rivolte a est secondo la tradizione normanna e le ampie navate, si stagliano sull’abitato sovrastato dalla facciata-campanile, e sul quale si staglia la statua bronzea dell’Assunta, opera di Giuseppe Rito.
Dell’antico Duomo sono state salvate opere d’arte di notevole valore che meritano di essere menzionate come: il busto argenteo di S.Vitaliano, opera di argentieri napoletani della seconda metà del XVI secolo; la statua della Madonna delle Grazie del 1595, opera di Tommaso Montani proveniente dell’antico convento delle clarisse; la pala dell’antico fastigio dell’altare maggiore raffigurante “Maria SS. Assunta” dipinta nel 1750 su commissione del vescovo del tempo Ottavio da Pozzo; le raffinate statue lignee ottocentesche della “Dormitio Virginis” e della SS. Vergine Addolorata; la tela della “Sacra Famiglia”, opera di Domenico Augimeri di Palmi che la dipinse nel 1834.
Dai bombardamenti fu salvata parte della notevole dotazione tessile, consistente in paramenti sacri databili tra la seconda metà del XVII secolo e la prima metà del XX secolo, nonché la ricca argenteria, costituita da suppellettile liturgica ascrivibile tra i secoli XVII e XX.
Una parte del cosiddetto “tesoro” della cattedrale è oggi, in parte, esposto presso il locale Museo Diocesano d’Arte sacra “S. Vitaliano” allocato all’interno del Palazzo Arcivescovile.
La cattedrale, all’indomani della sua riconsacrazione post bellica, fu arricchita di altre opere d’arte tra le quali si ricordano: le 14 stazioni della “Via Crucis” di Alessandro Monteleone; le tele dei santi patroni e compatroni della città del salernitano Lorenzo Jovino nella navata centrale e, dello stesso autore, gli affreschi de “I quattro evangelisti” nelle vele dei pilastri della cupola e della “Santissima Trinità” nell’arco santo. Chiudono il panorama artistico contemporaneo, le porte bronzee del vestibolo, dette delle “Beatitudini”, del “Giubileo” e dell’”Eucarestia”, e dell’ingresso principale dell’edificio, detta della “Speranza”, realizzate da Eduardo Filippo, sotto il vescovato di Mons. Antonio Cantisani, e quelle realizzate per gli ingressi laterali da Giuseppe Farina, sotto il vescovato di mons. Antonio Ciliberti, battezzate con i nomi di “Sanguinis Effusione” ed “Ecclesia Sanctorum Mater”.